venerdì 29 novembre 2013

THE SAGAN SERIES - Traduzione italiana


The Sagan Series è una serie di video-tributi che Reid Gower ha voluto dedicare al grande astrofisico e scrittore Carl Sagan. Filmati mozzafiato e una colonna sonora ipnotizzante fanno da fantastico scenario alla narrazione fatta da Sagan nella sua serie TV Cosmos: A Personal Voyage (1978/79).
Per i nostalgici, ma anche per chi non ha mai avuto il piacere di vederli, i 13 episodi completi della serie possono essere goduti liberamente su YouTube grazie a SpoonHysteria.

Purtroppo i video sono solo in inglese e non hanno i sottotitoli in italiano. Ecco perché ho pensato che The Sagan Series potesse essere gradita, perché non tutti hanno avuto la fortuna, più di 30 anni fa, di seguire la serie TV Cosmo all'interno della stupenda cornice di Quark e dalla voce del doppiatore italiano Cesare Barbetti e non tutti masticano l'inglese ad un livello necessario per apprezzare come meritano i racconti di Sagan.

Allora, invece di fare solo una semplice presentazione dei video-tributi, ho voluto  mettere in evidenza i testi; le Parole di Sagan. Mi sono appoggiato ai sottotitoli in italiano correggendo alcuni refusi e sistemando punteggiatura e traduzione non proprio perfetta di qualche frase; i testi rimangono comunque assolutamente integri e rispondenti a quelli originali.

È un assaggio, uno stupendo assaggio di quello che è stato Sagan come divulgatore, uno che ti ammaliava con le parole e ti rapiva con le immagini.

Cosmos, il suo personale viaggio, è stato il "fantastico viaggio" di intere generazioni.



THE SAGAN SERIES



La frontiera è ovunque


Eravamo cacciatori e raccoglitori. La frontiera era ovunque: solo la Terra, l'oceano ed il cielo ci limitavano.
La strada aperta ancora ci chiama dolcemente. Il nostro piccolo globo terracqueo è la casa disordinata di queste centinaia, migliaia, milioni di mondi. Noi, che nemmeno riusciamo a mettere ordine nel nostro pianeta, diviso da odi e rivalità, ci avventureremo nello spazio? Nel tempo in cui avremo messo piede anche nel più vicino sistema solare, saremo cambiati. Il semplice passaggio di così tante generazioni ci avrà cambiato. La necessità ci avrà cambiato. Siamo una specie adattabile: non saremo noi a raggiungere una stella come Alpha Centauri e le altre stelle vicine, sarà una specie molto simile alla nostra, ma con più punti di forza e meno debolezze. Più fiduciosa, lungimirante, capace e prudente. Con tutti i nostri fallimenti, limiti ed imperfezioni, noi umani siamo capaci di grandi cose. Quali nuove meraviglie, che in questa generazione nemmeno sogniamo, avremo realizzato in una prossima generazione? E in un'altra ancora? Quanto sarà andata lontano la nostra specie nomade, alla fine del prossimo secolo? E del prossimo millennio? I nostri discendenti remoti, diffusi in molti mondi in tutto il sistema solare e oltre, saranno uniti dalla loro eredità comune, dalla reverenza per il loro pianeta di origine, e dalla conoscenza che, comunque siano le altre forma di vita, i soli umani in tutto l'Universo vengono dalla Terra. Alzeranno gli occhi, si sforzeranno di guardare il piccolo punto blu, nei loro cieli, e si meraviglieranno di quanto fosse vulnerabile il custode del nostro potenziale. Quanto pericolosa fu la nostra infanzia. Quanto umili furono le nostre origini. Quanti fiumi abbiamo dovuto attraversare, prima di trovare la nostra strada.


La vita cerca vita


Da bambini, abbiamo paura del buio. L'ignoto ci spaventa. Potrebbe esserci qualunque cosa là fuori. Ironicamente, vivere nell'oscurità è il nostro destino. Allontanatevi dalla Terra in qualunque direzione, e dopo un primo lampo blu, sarete circondati dall'oscurità, interrotta, di quando in quando, solo da stelle lontane e distanti. Anche una volta cresciuti, l'oscurità mantiene il suo potere di spaventarci. E quindi non manca chi sostiene che non dovremmo indagare troppo a fondo su chi altri potrebbe vivere in quella oscurità. Meglio non sapere, dicono. Ci sono 400 miliardi di stelle nella Via Lattea. In questa immensa moltitudine, è possibile che il nostro Sole sia l'unico con un pianeta abitato? Forse. Forse l'origine della vita, o l'intelligenza, è troppo improbabile. O forse di civiltà ne sorgono in continuazione, ma si distruggono appena ne sono in grado. Oppure, qui e là, sparsi nello spazio, ci sono mondi, in qualche modo simili al nostro, sui quali altri esseri alzano gli occhi e si chiedono, come noi, chi altri viva nell'oscurità. La vita è una rarità, in termini comparativi: puoi osservare dozzine di mondi e trovare che su solo uno di loro la vita sorge, si evolve e persiste. Se noi umani andremo mai su questi mondi, sarà perché una nazione, o un consorzio di nazioni, crede che le convenga, o convenga alla specie umana. Nella nostra epoca, abbiamo attraversato il sistema solare e inviato quattro navicelle nello spazio. Ma continuiamo a cercare nuovi abitanti. La vita cerca altra vita.


Una favola rassicurante


Tornate a quel pallido punto blu di cui abbiamo parlato. Immaginate di guardarlo a lungo. Immaginate di guardare quel punto per una qualsiasi durata di tempo e di provare, poi, a convincervi che Dio abbia creato l'intero Universo per una sola delle dieci milioni circa di specie che abitano quel granello di polvere. Fate un passo in più, ora: immaginate che ogni cosa sia stata fatta solo per una singola minoranza di quella specie, o genere, o sotto categoria etnico-religiosa. Possiamo qui riconoscere una nostra carenza, in alcuni casi grave, nella nostra capacità di comprendere il mondo. Normalmente, siamo portati a proiettare la nostra natura su tutta la Natura. "L'uomo, nella sua arroganza, si crede un'opera grande, meritevole di una creazione divina" appuntò telegrafico Darwin. "Credo sia più umile, e anche più giusto, considerarlo discendente degli animali". Siamo gli ultimi arrivati. Viviamo nei sobborghi dell'Universo. Siamo emersi dai microbi e dal letame. Le scimmie sono nostre cugine. Non controlliamo completamente i nostri pensieri e sensazioni. E per giunta, stiamo rovinando il nostro mondo e stiamo diventando un pericolo per noi stessi. La trappola sotto i nostri piedi si apre. Ci troviamo in caduta libera. Se bastano un po' di miti e di rituali per farci attraversare una notte che sembra infinita, chi tra noi non può simpatizzare con  l'altro e capirlo? Vogliamo sentire di esser qui per uno scopo, anche se, malgrado molte illusioni, sembra non ci sia alcuno scopo evidente. A rendere significative le nostre vite ed il nostro fragile pianeta sono solo la nostra saggezza e il nostro coraggio. Siamo i custodi del significato della vita. Vogliamo un Genitore che si prenda cura di noi, perdoni i nostri errori, ci salvi dai nostri errori infantili. Ma è meglio conoscere che ignorare. È di gran lunga meglio affrontare la dura verità, che raccontarsi una favola rassicurante. La scienza moderna è stata un viaggio nell'ignoto, con una lezione di umiltà pronta ad attenderci ad ogni tappa. Le nostre percezioni istintive possono sbagliarsi. Le nostre preferenze non contano. Non godiamo di un trattamento privilegiato. Se è un qualche scopo cosmico che cerchiamo, allora troviamoci un obiettivo degno.


Le difficoltà sono necessarie per raggiungere le stelle


Si può facilmente immaginare una lunga lista di causalità storiche. La storia avrebbe potuto prendere molte strade diverse. I nostri antenati sono arrivati dall'Africa orientale in Novaja Zemlja, in Patagonia e ad Ayers Rock. Hanno cacciato elefanti con punte di pietra, e camminato sulla Luna dieci anni dopo la conquista dello spazio. Non siamo in grado di prevedere il futuro: gli eventi catastrofici trovano sempre un modo di sorprenderci, di coglierci alla sprovvista. La tua vita, o quella della tua band, o anche della tua specie, potrebbe essere nelle mani di un pugno di persone inquiete, spinte da un desiderio, che non riescono ad esprimere né comprendere, di conoscere terre inesplorate e nuovi mondi. Ogni vittoria è solo un preludio ad un'altra, e una speranza razionale non può conoscere limiti. La nostra particolare serie di causalità ci ha portato ad una serie di esplorazioni modeste e rudimentali, per quanto, sotto molti profili, eroiche. Ma è di gran lunga inferiore a ciò che avrebbe potuto essere e a ciò che potrà essere in futuro.


Decidere di ascoltare


È possibile che la Via Lattea brulichi di vita e intelligenza, con mondi che chiamano altri mondi, mentre noi, sulla Terra, siamo vivi nel momento cruciale in cui, per la prima volta, decidiamo di ascoltare? La nostra specie ha scoperto un modo di comunicare attraverso le tenebre e di colmare immense distanze. Nessun mezzo di comunicazione è più rapido, o economico, o dalla portata maggiore. Si chiamano onde radio. Oggi stiamo, su una scala mai vista prima, ascoltando i segnali radio di altre possibili civiltà che vivono nelle profondità dello spazio. Questa ricerca si chiama Ricerca dell'Intelligenza Extraterrestre, o SETI, pronunciato séti. Fatemi dire dove siamo arrivati. Il primo programma SETI è stato condotto da Frank Drake. La sua più grande conquista fu dimostrare che la moderna tecnologia è pienamente in grado di ascoltare i segnali di possibili civiltà sui pianeti delle altre stelle. Nel frattempo, la tecnologia di rilevamento è diventata più economica, la sensibilità continua a migliorare e la rispettabilità scientifica di SETI ha continuato a crescere. Ma la nostra paura del buio si ribella. L'idea che esistano degli alieni ci spaventa. Accampiamo obiezioni: "È troppo costoso", dicono alcuni. Ma nella sua versione tecnologica più moderna, costa meno di un elicottero d'attacco all'anno. "Non capiremo mai cosa stanno dicendo", sostengono altri. Ma siccome il messaggio è trasmesso da onde radio, dobbiamo avere la fisica, l'astronomia, e la tecnologia delle onde radio in comune. Le leggi della Natura sono le stesse ovunque; quindi è la scienza stessa a fornire un mezzo e un linguaggio di comunicazione tra specie molto diverse di esseri, purché dotate entrambe di conoscenza scientifica. "In tutta la storia umana", dice poi qualcuno, "le civiltà avanzate hanno soppresso civiltà appena più arretrate delle loro" Il che è certamente vero. Ma una civiltà aliena ostile, se esiste, non scoprirà la nostra esistenza dal fatto che li stiamo ascoltando. Il programma di ricerca si limita a ricevere segnali, non ne invia. Dopo miliardi di anni di evoluzione biologica, sui loro pianeti e nel nostro, una civiltà aliena non può essere tecnologicamente più arretrata di noi. La specie umana esiste da più di ventimila secoli, ma la tecnologia radio esiste da un solo secolo. Se le civiltà aliene sono più arretrate di noi, è probabile che siano troppo arretrate per avere la tecnologia radio. Se invece sono più progredite, è probabile che siano molto più progredite. Pensate ai progressi tecnici ottenuti solo negli ultimi secoli. Ciò che per noi è tecnicamente difficile, o impossibile, ciò che potrebbe sembrarci magico, potrebbe essere, per loro, banalmente semplice. Noi possiamo comunicare con buona parte della Galassia. Loro dovrebbero poter fare molto meglio... se esistono.


La fine di un'era: il lancio finale dello shuttle


Abbiamo fatto una corsa costosa, negli anni '60 e '70. A quei tempi avreste potuto pensare, come me, che la nostra specie sarebbe andata su Marte prima della fine del secolo. Abbiamo rallentato la corsa, invece. Se escludiamo i robot, ci siamo allontanati dai pianeti e dalle stelle. Continuo a chiedermi: è un cedimento dei nervi, questo, o un segno di maturità? Forse è il massimo che avremmo potuto ragionevolmente aspettarci. In un certo senso, è sorprendente che tutto ciò sia stato fatto: abbiamo mandato una dozzina di uomini sulla Luna, per una settimana, missioni che hanno riportato sì qualche informazione, ma nulla che avesse un valore pratico, immediatamente spendibile. Non molto, almeno. Però hanno sollevato lo spirito umano. Ci hanno mostrato il nostro posto nell'Universo. Un programma molto visibile, che cambi il modo in cui vediamo noi stessi, potrebbe mostrare la fragilità del nostro ambiente planetario e il pericolo comune, nonché la responsabilità, di tutte le nazioni e popoli sulla Terra. E c'è qualcosa di più. Il volo spaziale parla ad una parte profonda di molti, se non tutti noi. Una collega scienziata mi ha parlato di un viaggio recente in Nuova Guinea, dove ha visitato una civiltà rimasta all'età della pietra, e che entrava in contatto con le civiltà occidentali solo di rado. Non conoscevano gli orologi da polso, le bibite gassate ed il cibo congelato. Ma conoscevano l'Apollo 11. Sapevano che gli umani avevano camminato sulla Luna. Conoscevano i nomi di Armstrong e Aldrin e Collins. Volevano sapere chi si trovava sulla Luna, adesso. Progetti orientati al futuro, e che, difficoltà politiche a parte, potranno completarsi solo in qualche decennio lontano ci ricordano in continuazione che ci sarà un futuro. Riuscire a lasciare il segno in altri mondi sussurra alle nostre orecchie che non siamo solo Pitti, o Serbi, o Tongani. Siamo umani. Nel frattempo, la gente ha brama di comprendere. L'idea che abbiamo compreso qualcosa mai colta da nessuno vissuto prima, quell'esaltazione, particolarmente intensa per gli scienziati coinvolti, ma percettibile da quasi chiunque, si propaga nella società, supera le barriere, e torna da noi. Ci incoraggia ad affrontare problemi di altri campi che pure non sono mai stati risolti. Aumenta il senso generale di ottimismo nella società. Diffonde pensiero critico su ciò di cui abbiamo urgentemente bisogno, se stiamo per risolvere questioni sociali finora intrattabili. Aiuta a stimolare una nuova generazione di scienziati. Più scienza c'è nei media, specialmente se si descrivono i metodi, non solo le conclusioni e le implicazioni, più sana è una società, secondo me. Restano tante cose da fare, qui sulla Terra e il nostro impegno a farle dev'essere deciso. Ma noi siamo il tipo di specie che deve darsi una frontiera, per ragioni biologiche fondamentali. Ogni volta che l'umanità supera sé stessa, riceve una scarica di vitalità produttiva che può stimolarla per secoli. Yuri Romanenko, di ritorno sulla Terra dopo l'allora più lungo viaggio spaziale, disse: "Il cosmo è una calamita... Una volta che ci sei stato, l'unica cosa a cui pensi è come tornarci."


La lunga prospettiva astronomica


Forse è uno schema familiare, che ricorre in molti altri mondi: un pianeta, formatosi da poco, ruota placido intorno alla sua stella; lentamente, la vita appare; un caleidoscopio di creature diverse evolve; emerge l'intelligenza che, almeno fino a un certo punto, conferisce un enorme potere di sopravvivenza; poi arriva la tecnologia. In un attimo si creano strumenti per manipolare il mondo. Alcune civiltà planetarie mettono nella giusta prospettiva il processo, fissano dei limiti su quel che si può fare o no, e attraversano senza distruggersi tempi pericolosi. Altre, meno fortunate o prudenti, muoiono. Ecco una ragione per cui, in una prospettiva astronomica a lungo termine, c'è qualcosa di davvero epocale nel momento presente. È la prima volta, nella storia del nostro pianeta, che ogni specie, con le sue azioni volontarie, è diventata un pericolo per sé e per un vasto numero di altre. Noi umani stiamo già accelerando l'estinzione di altre specie, a un ritmo mai visto dalla fine del Cretaceo. Ma solo nell'ultimo decennio la portata di queste estinzioni è diventata chiara, e si è fatta seria la possibilità che, ignorando le interazioni tra le varie forme di vita sulla Terra, il nostro futuro possa compromettersi. Naturalmente dobbiamo mantenere il nostro pianeta abitabile e non in secoli o millenni, con tutta calma, ma senza indugio, entro pochi decenni o forse anni. Questo richiederà cambiamenti nel governo, nell'industria, nell'etica, nell'economia e nella religione. Non abbiamo mai fatto una cosa del genere, certo non su scala globale. Potremmo non farcela. Forse le tecnologie ostili sono troppo diffuse. La corruzione dilagante potrebbe sopraffarci. Potrebbero litigare tra loro troppi gruppi etnici, stati-nazione e ideologie perché il giusto tipo di cambiamento globale prenda piede. E tuttavia, noi umani abbiamo anche una storia di cambiamenti sociali duraturi che quasi tutti credevano impossibili. Ci siamo spesso, malgrado la nostra diversità, e gli odi diffusi, uniti contro un nemico comune. Il nostro impatto sul futuro, oggi, è molto alto. Sembriamo, oggi, molto più disposti a riconoscere i pericoli davanti a noi di solo dieci anni fa. I nuovi pericoli percepiti minacciano allo stesso modo tutti noi. Nessuno sa che fine faremo, quaggiù. Ma è anche, potremmo notare, la prima volta che una specie è stata in grado di viaggiare verso altri pianeti e altre stelle. Marinai di un quieto mare, sentiamo il soffio di una brezza.


Il regalo di Apollo


È un'afosa sera di Luglio, e stai sonnecchiando in poltrona. Di colpo ti riprendi, confuso. La televisione è accesa, ma il sonoro non funziona. Ti sforzi di capire che succede. Due figure eteree, in tuta e casco, danzano leggere. Con strani saltelli, avanzano tra nuvole di polvere impalpabile. Ma qualcosa non torna: impiegano troppo tempo a riatterrare. Zavorrati come sono, è un po' come se volassero. Così ti strofini gli occhi. Ma il "sogno" continua. [Ce l'abbiamo fatta!] Di tutti gli eventi generati dall'Apollo 11, quando atterrò sulla luna il 20/07/1969, il mio ricordo più vivo è la sua qualità irreale. Neil Armstrong  e Buzz Aldrin camminavano nel grigio e polveroso suolo lunare, la Terra sullo sfondo, mentre Michael Collins, luna della luna, orbitava attorno a loro, in solitario controllo. Certo, fu una conquista tecnologica sorprendente e un trionfo degli Stati Uniti. Certo, gli astronauti mostrarono sprezzo della morte. Certamente fu, come ha detto Armstrong appena atterrato, un grande passo per l'umanità. Ma spegnendo il chiccchericcio su Missione Controllo e Mare della Tranquillità, coi suoi discorsi volutamente triti e retorici, e fissando lo schermo bianco e nero della TV, potevi osservare l'ingresso della specie umana nel regno del mito e della leggenda. Ci fu un tempo in cui esplorammo il Sistema Solare. Per qualche anno. Poi facemmo marcia indietro. Perché? Cos'è successo? Cosa ha rappresentato davvero la missione Apollo? Apollo irradiò una fiducia, uno slancio e un'apertura di visione che stregò l'immaginazione del mondo. Ispirò un approccio ottimista alla tecnologia, e l'entusiasmo per il futuro. Se siamo arrivati sulla luna, si sono chiesti in tanti, di cos'altro eravamo capaci? Potremmo aver conquistato quella visione appena in tempo, ora che la nostra tecnologia minaccia l'abitabilità del nostro mondo. Qualunque fosse la ragione per cui abbiamo iniziato il programma Apollo, per quanti ostacoli abbia incontrato tra nazionalismi da Guerra Fredda e strumenti di morte, l'ineluttabile consapevolezza dell'unità e della fragilità della Terra è stata la sua folgorante ricompensa, l'inatteso, e ultimo, dono di Apollo. 12 uomini hanno camminato sulla luna. Nessun umano è tornato o si è spinto più lontano dal 1972.


Gli umani


Ci sono posti, dentro e intorno alle nostre metropoli, dove il regno naturale sembra scomparso. Puoi notare strade, marciapiedi, automobili, autorimesse, cartelloni pubblicitari, monumenti di vetro e acciaio; ma non un albero, un filo d'erba o un animale. A parte, naturalmente, gli umani. Di quelli sì, ce n'è molti. È solo quando intravedi il cielo sopra i canyon dei grattacieli che riesci a scorgere una stella, un frammento di blu, ricordi di ciò che fu anche molto prima di noi. È facile, andando ogni giorno al lavoro in posti come questo, meravigliarsi della nostra specie. Di come abbiamo trasformato la Terra a nostro uso e consumo! Ma a solo qualche centinaio di miglia sopra e sotto la terra, non ci sono umani. Il nostro impatto sull'Universo è zero. Negli ultimi diecimila anni, un batter di ciglia, nella nostra evoluzione, abbiamo abbandonato la vita nomade e addomesticato piante ed animali: perché dar la caccia al cibo, se puoi farlo arrivare davanti a te? Ma con tutti i suoi vantaggi materiali, la vita sedentaria non ci ha reso meno irrequieti, insoddisfatti. Anche dopo 400 generazioni di villaggi e città, non abbiamo dimenticato la nostra natura. Ora ci sono persone in ogni continente e nelle isole più sperdute, da un polo all'altro, dal Monte Everest fino al Mar Morto, sul fondo degli oceani e persino, di quando in quando, alloggiate a 200 miglia di altezza, che vivono in cielo, come gli dèi dell'antichità. Oggi sembra che non vi sia più niente da esplorare. Vittime del loro stesso successo, gli esploratori restano sulla Terra. Forse è troppo presto. Forse non è ancora l'ora. Ma questi altri mondi, con le loro opportunità ancora impensabili, ci stanno chiamando. Oggi sono molte le questioni sul tavolo che ci sfidano, e competono per le risorse destinabili allo spazio. Dovremmo prima risolvere tali questioni? O sono esse stesse una ragione per partire? Il nostro pianeta, e il nostro sistema solare, sono circondati da un nuovo tipo di oceano: le profondità dello spazio. Un oceano non meno attraversabile del precedente.




PS:
E non finisce mica qui!
Grazie ad alcune segnalazioni di Annarita vengo a sapere che...

Un nuovo “Cosmos” sui nostri schermi, a trent’anni da quello di Carl Sagan


Sarà Neil deGrasse Tyson in grado di ripetere l'enorme successo del "Cosmos" di Carl Sagan? Soprattutto, sarà in grado di far appassionare milioni di ragazzi e ragazze ai segreti che l'universo ancora deve raccontare?
Perché l'universo racconta, su questo non ci sono dubbi.


8 commenti:

  1. @ Juhan e @Bruna
    Contento che la cosa vi sia piaciuta

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    1. A giudicare dalle segnalazioni su Twitter e G+ piace parecchio, giustamente.

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    2. Mi fa piacere (per Sagan naturalmente ☺)
      Per curiosità, quando parli di segnalazioni ti riferisci a quelle che vediamo qui sui bottoni social o hai altri dati?

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    3. Condivisioni su G+ e retweet su Twitter.

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    4. Ecco, Twitter mi manca. Ho l'account ma non lo uso che per seguire qualcuno. Prima o poi dovrò decidermi ad approfondire meccanismi ed utilità reale. Al momento sto "testando" Google+ che in generale non mi dispiace anche se ha grossi limiti di viralizzazione (oltre ad alcune stupidaggini tecniche), almeno rispetto a FB. Ogni social è un caso a parte e se lo si vuole utilizzare correttamente per i propri obbiettivi, bisogna conoscerne bene dinamiche e strutture (e ci vuole tempo per farlo)

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    5. Verissimo; ogni social-coso è un coso a sé. Twitter lo uso per le cose d'informatica (principalmente, poi ci sono amici). Comodo per segnalazioni volanti, come slashdot per la serie visto nel Web su OKp.

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