domenica 10 dicembre 2017

Lo ius soli è la panacea?

Oggi ho letto questa notizia  (?) con tutta una serie di commenti da parte dei lettori di Facebook.

non so se sia veramente la foto della coppia, l'ho copiata dal giornale

Dico subito che a me sa tanto di bufala...
Come giustamente alcuni dei commentatori osservavano, 30 anni in clandestinità scontrano frontalmente (e ad alta velocità!) con:  acquisto di casa col mutuo, 3 figli cittadini statunitensi per ius soli, si suppone assistenza sanitaria sia pure solo privata, a caro prezzo (del resto la pubblica negli USA è un'utopia), università per i figli (in Italia costa poco, ma negli USA impegna i genitori per mooolti anni di debiti).
Insomma, di cosa hanno campato per trent'anni? di sotterfugi e lavoretti in nero? come hanno allora potuto pagare tutto ciò e chiedere e ottenere un mutuo? con che diamine di documento di riconoscimento hanno girato per trent'anni?

Se invece si sono messi in regola con il permesso di lavoro (e di soggiorno regolare, non clandestino) e con l'iscrizione alla Sicurezza Sociale, magari hanno anche ottenuto la patente di guida, perché mai non hanno chiesto in trent'anni non dico la cittadinanza ma almeno un permesso di soggiorno permanente?
La cittadinanza USA si può ottenere in vari modi (tra cui nascere lì), uno di questi modi avrebbe dovuto essere a disposizione della coppia di messicani: la cittadinanza si può ottenere dopo 5 anni (in Spagna dopo 10) di residenza legale, ovvero dopo aver ottenuto la Green Card o permesso permanente di residenza.
Un altro modo che avrebbero potuto sfruttare è questo:


Poiché il loro figlio maggiore, cittadino USA,  laureato e quindi giudicabile anche ben inserito nella società statunitense, ha 24 anni, avrebbe potuto già da qualche anno chiedere per i genitori la Green Card, che col tempo avrebbe potuto permettere la richiesta della cittadinanza (vedi sopra).

Certo, se sono entrati in modo totalmente illegale (c'è chi entra legalmente come turista poi fa perdere le sue tracce) può essere che la richiesta di regolarizzazione attraverso il figlio comporti un periodo di "castigo" fuori degli USA, ma almeno tentare, no?



Ora, mi rifiuto di credere che una coppia sufficientemente in gamba da riuscire a costruirsi una vita così complessa e articolata lo abbia fatto per 30 anni  in clandestinità e senza informarsi sulle norme legali che avrebbe potuto sfruttare.

Ma non è di questa vera o inventata coppia che volevo parlare, ma dello ius soli.

Gli USA lo applicano a tutti i nati, in qualsiasi condizione di legalità o illegalità, in qualunque punto della terra che faccia parte degli Stati Uniti d'America.  Non dà però altri diritti che la cittadinanza nuda e cruda, per esempio non è prevista come in Italia la cittadinanza di un parente per ricongiunzione alla famiglia (come visto sopra, sì il permesso di soggiorno permanente).

In Italia tutti o quasi i favorevoli alla concessione della cittadinanza italiana a chiunque nasca su suolo italiano (immagino anche su navi o aerei di bandiera italiana) portano a esempio gli Stati Uniti e chiedono l'applicazione della stessa normativa.

Ma. come vedete, o testoline, lo ius soli statunitense non ha nulla a che fare con quello che vorreste concedere voi tanto liberalmente. 
E soprattutto non porta come conseguenza diretta la nazionalizzazione dei familiari...


Ne ho già scritto qui e su Facebook, sono contraria all'applicazione di uno ius soli indiscriminato, che non sia almeno temperato, come quello proposto , che prevede una certa legalità nella presenza su suolo italiano di almeno un genitore, ma a molti non sta bene, vorrebbero una totale apertura.

Fatto sta che alcuni "amici" che evidentemente amici non erano, senza neppure darmi il beneficio del dubbio mi hanno cancellato dai loro contatti, tacciandomi di razzista (vengo di tanto in tanto chiamata così!).

E pensare che in realtà sono una persona assolutamente non razzista, anche se qualche volta parlo di "razze" e non di "etníe": per me le etníe sono  raggruppamenti di tipo storico e culturale, le razze invece di tipo genetico (tipo il colore della pelle, la forma degli occhi ecc., niente a che fare con alcun tipo di superiorità o inferiorità né fisica né tantomeno mentale).

Sapete, sono molto più "razzisti" i "non-razzisti" a tutti i costi, perché sono proprio loro quelli che vedono le differenze, e spesso nel loro affanno di mostrarsi aperti diventano addirittura ridicoli, negando palesi difetti e magnificando i pregi dei loro "protetti" (ce ne fosse uno che fosse paladino dei cinesi, per esempio! no, valgono solo i neri, i musulmani o meglio i neri musulmani!). E già, perché con tutta evidenza i suddetti benpensanti prevedono lo ius soli e l'accoglienza e tutto quanto solo o quasi per i migranti di pelle scura, gli altri si arrangino!


Vi voglio raccontare alcune cose che risalgono addirittura alla mia infanzia...Ma prima riporto un brano, scritto da Renato de Rosa, arguto scrittore di cui mi pregio essere amica sia pure solo su Facebook.




Ecco, i miei ricordi da bambina sono altri.

Vivevo a Genova, all'epoca città cosmopolita, in cui non era affatto raro vedere per strada gente visibilmente di altre etníe/razze. Del resto, da sempre ho conosciuto il cugino mulatto di mia madre, il bel Mario (sposato alla splendida Giovanna, rossa tizianesca dalla pelle di latte, se ben ricordo).
Quindi non posso definire quando sia stato il momento preciso in cui ho visto una pelle bruna.

Perció il mio primo vero incontro con il "diverso" è stato quando, in seconda elementare, ho visto per la prima volta la chioma fiammeggiante (prosaicamente si potrebbe chiamare pel di carota) di Riccardo, il figlio della mia maestra, il quale di tanto in tanto fuggiva dalla sua classe per venire a piagnucolare dalla mamma... (sì, ricordo il suo nome, con l'effetto che mi ha fatto!).

più o meno era questo il colore

Successivamente, in terza o quarta elementare, non ricordo, si unì alla classe un ragazzino  eritreo, ma non ricordo particolari reazioni di stupore né da parte mia né da parte del resto della classe, era solo uno dei tanti e come tale si incorporò tranquillamente. (In realtà, facevo più scalpore io con i miei "spegetti" ovvero occhiali, all'epoca erano pochi i bambini che li portavano) Del resto, d'estate c'era chi era più scuro di lui, eravamo a Boccadasse, vicino al mare, alcuni dei miei compagni passavano più tempo al sole che in casa.

Quindi non mi venite a dire che sono razzista, quel che non ammetto è che si accolga indiscriminatamente anche chi non sa o soprattutto non vuole adattarsi alle convenzioni europee sociali di minima convivenza, a qualunque etnía appartenga, sia rom, cinese, afgana, marocchina, barbadense o marziana.




Nessun commento:

Posta un commento